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Internet e responsabilità

25 novembre 2009

Il tema della responsabilità degli Internet Service Provider per le attività illecite compiute dagli utenti sulle loro piattaforme è di grande attualità. Si pensi al cosiddetto “caso Vividown”, proprio oggi all’esame  del tribunale di Milano e concernente il rinvio a giudizio di quattro dipendenti di Google per concorso in diffamazione e violazione della privacy nei confronti di un minorenne disabile, insultato e malmenato da un gruppo di suoi coetanei e ripreso in un
video caricato su YouTube. Altro esempio è l’emendamento D’Alia, di cui abbiamo parlato molto su questo blog, che avrebbe potuto causare l’inaccessibilità totale da parte di tutti gli utenti a Facebook solo a causa dei gruppi aperti da coloro che svolgevano attività di “apologia o di istigazione ai reati in via telematica”.

Quali sono le leggi che devono essere applicate ad Internet? Qual è il confine fra necessità di sicurezza online e libertà di espressione?

E’ necessario prima di tutto ricordare che già oggi esistono leggi che si occupano di Internet: la Direttiva sul Commercio Elettronico, recepita dal nostro Paese nel 2003  (Decreto legislativo 70/2003), fissa in modo chiaro obblighi e diritti sia di chi gestisce un sito che di chi naviga e carica contenuti sul sito – gli utenti navigatori. Tale normativa impone ai fornitori di servizi su Internet di informare l’autorità giudiziaria qualora siano a conoscenza di attività illecite sulle loro piattaforme, ma non li sottopone ad un obbligo generale e costante di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano. È impossibile infatti per una piattaforma telematica come You Tube, sulla quale vengono caricate fino a 20 ore di video al minuto, avere un controllo sull’enorme quantità di contenuti immessi dagli utenti, o per una come Facebook monitorare tutti i profili o i commenti pubblicati ogni giorno dai milioni di persone che utilizzano questo social network. Un indirizzo più restrittivo in questo senso avrebbe come conseguenza quella di cambiare radicalmente la natura dei servizi online che siamo abituati ad usare tutti i giorni con importanti conseguenze da un punto di vista economico, sociale e democratico.

Più in generale penso che questo genere di situazioni siano causate da una concezione sbagliata di Internet, che sine logica tende a voler assimilare la rete ai classici mezzi di comunicazione – la stampa in primis –  imponendo i medesimi obblighi di controllo, responsabilità e rettifica.

Internet non può e non deve essere assimilato ai tradizionali mezzi di comunicazione: non può perché è tecnicamente impossibile assicurare il controllo di tutti i contenuti prodotti e caricati dagli utenti; non deve perché l’attribuzione della responsabilità delle condotte illecite alle piattaforme sulle quali vengono perpetrate rischia di portare i fornitori di servizi online ad essere sempre meno disponibili ad ospitare i contenuti generati dagli utenti, privando Internet della sua principale ricchezza e mettendo le imprese italiane in una posizione di inferiorità rispetto ai loro concorrenti europei ed americani.

Come dice Riccardo Luna nel suo editoriale di Wired di questo mese, che consiglio di leggere, “Internet è nata così, aperta, democratica, partecipativa. E lo è oggi ancora più di prima, nonostante i continui tentativi di imbrigliarla.  Internet non è come il telegrafo o il frigorifero, come dice chi non ha capito nulla. Internet è una cosa che non c’è mai stata prima. La prima arma di costruzione di massa”.

E’ cosi!

Internet è il più grande strumento di libertà che sia stato mai creato dall’uomo,  il più grande strumento di condivisione globale delle informazioni e del pensiero, il più grande strumento per dare voce anche a chi non è proprietario di un giornale o di altri mezzi di comunicazione tradizionali.

Perché imbrigliarla senza logica?

Ed infatti il punto centrale della questione non è tanto di carattere tecnico –giuridico quanto di tipo logico – politico.
Con la regolamentazione attuale e con il modo di ragionare di taluni,   è come se tutti noi vivessimo in una grande città in cui la responsabilità di un furto o di qualsivoglia altro reato viene attribuita al sindaco (leggasi Internet Service Provider). Su Internet come nel mondo reale sono necessarie regole precise e appropriate in grado di garantirne l’esistenza e svilupparne le potenzialità. Internet non ha bisogno di leggi ma di principi condivisi e universali definiti dalle istituzioni in collaborazione con chi vive e agisce quotidianamente su Internet: utenti e imprese.

Solo in questo modo – che costituisce a mio parere il fondamento delle nostre attività come intergruppo –  sarà possibile garantire la crescita e lo sviluppo di un mezzo che offre al nostro paese opportunità immense e ancora troppo spesso inesplorate.